LA BELLEZZA COME CURA DI SÉ
Quando la bellezza diventa una leva di successo

Secondo “The Beauty Issue”, l’ultimo Prosumer Report di Havas che raccoglie i dati di una ricerca condotta su 14.500 individui +18 in 30 Paesi, tra cui l’Italia, il desiderio verso i prodotti beauty non accenna a diminuire e la crescita del mercato abbraccia tutti i segmenti.

Complice la considerazione della bellezza come leva di successo, oggi non si ricerca più l’eccesso ma l’equilibrio: sì alla chirurgia estetica ma solo per colmare insicurezza personali. Cambiano anche le motivazioni di acquisto di prodotti beauty da parte dei consumatori e il concetto stesso di bellezza: non solo atto di vanità, ma amore verso se stessi e un modo per sentirsi bene mentalmente.

Non è tutto. Se il 52% dei prosumer italiani (vs 56% globali e vs 49% mainstream) preferisce investire in esperienze di benessere piuttosto che in beauty routine elaborate e il 69% degli italiani è convinto che sia più facile essere belli se si è ricchi e il 68% ammette di faticare ad accettarsi in una società ossessionata dalla perfezione, per i brand tutto ciò significa ripensare l’offerta integrando contenuti scientifici, collaborando con esperti del sonno e della nutrizione, proponendo esperienze immersive che uniscono estetica e salute, ma anche, pur mantenendo il suo valore aspirazionale, offrire soluzioni gratificanti e accessibili a tutti.

SOSTENIBILITA’ E TRASPARENZA

Un altro interessante tema che riguarda da vicino il settore beauty e la sua evoluzione è quello della sostenibilità. Mentre sulle etichette dei detergenti, nei cosmetici e tra gli scaffali del supermercato spopolano parole come “naturale”, “eco” e “sostenibile”, crescono tra i consumatori i dubbi sulla veridicità di tali dichiarazioni e il timore del greenwashing. Secondo la Commissione Europea, il 75% dei prodotti “green” non fornisce prove verificabili, e solo 1 consumatore su 5 crede davvero alle dichiarazioni sostenibili dei brand (Blue Yonder, 2025). E i settori più colpiti sono la bellezza e la cura della casa. Secondo CosmetoSafe, il 37% delle affermazioni ambientali nei prodotti beauty è troppo generico o infondato; mentre oltre il 65% dei detergenti domestici “green” non offre informazioni trasparenti su ingredienti e impatto ambientale (Altroconsumo, 2023).

L’Unione Europea aveva proposto la direttiva “Green Claims”, che avrebbe obbligato i brand a dimostrare – con dati e verifiche – l’attndibilità delle loro dichiarazioni ambientali, ma a giugno 2025 la discussione è stata sospesa e la proposta è stata ritirata dal Consiglio UE. La strada verso la trasparenza è ancora lontana, tuttavia esistono delle modalità per riconoscere un brand davvero sostenibile, come sostenere con numeri, dati e risultati concreti le dichiarazioni di sostenibilità; portare come prova del proprio impegno certificazioni di enti terzi, come B Corp, che valuta impatto sociale e ambientale, o Plastic Negative Certified by rePurpose Global, che certifica la riduzione e compensazione della plastica, o, ancora, misurare concretamente l’impatto ambientale dei propri prodotti. Studi come Life Cycle Assessment (LCA), che analizzano molteplici dimensioni ambientali lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, o analisi di Carbon Footprint, che si focalizzano sulle emissioni di CO2, aiutano a fare confronti e a fare chiarezza sui risultati ottenuti. Gli studi sull’LCA e sul Carbon Footprint non sono solo un modo per misurare l’impatto dei propri prodotti, ma anche un’armai assai efficace contro il greenwashing.